Ricerca della felicità – L’arte di vivere bene
Se è vero che i soldi non fanno la felicità, cosa serve per ottenerla? E si può essere felici anche nell’era COVID? Per il professore di filosofia Wilhelm Schmid la risposta è sì. La contentezza non consiste nel saltare perennemente di gioia, bensì nel condurre una vita appagante.
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Le Nazioni Unite ritengono che i requisiti minimi materiali per essere felici siano l’assunzione di almeno 2.500 calorie e la disponibilità di 100 litri di acqua al giorno, uno spazio abitabile di sei m2, un angolo cottura e sei anni di istruzione scolastica. Se così fosse, in Alto Adige la felicità dovrebbe regnare sovrana, ma in realtà questa sensazione è relativa, poiché in un Paese ricco aumentano anche le aspettative.
I nuovi studi dell’Istituto provinciale di statistica ASTAT sullo stato d’animo degli altoatesini dimostrano un peggioramento dell’umore rispetto al solito, seppur non stiano poi così male, come si può intuire dalle circostanze. A gennaio 2021, 7 intervistati su 10 hanno dichiarato di sentirsi allegri, di buon umore, calmi e rilassati almeno per la metà del tempo, mentre il 60 percento dei partecipanti si sentiva attivo, energico, disteso e riposato per la maggior parte del tempo. Rispetto ai dati raccolti durante il lockdown della primavera 2020, tuttavia, si osserva un peggioramento del clima familiare di 10 punti percentuali.
Qual è la chiave della felicità?
Cosa ci serve per vivere felici? François Lelord, nel romanzo “Il viaggio di Hector o la ricerca della felicità”, fa compiere al protagonista un viaggio intorno al mondo, alla scoperta dei fattori che scatenano questa sensazione. “La felicità è stare con le persone a noi a care”, afferma Hector, “quando alla famiglia non manca nulla” e ancora “quando si ha una casa e un giardino”. Ovvio, no? Eppure, non esiste una ricetta segreta valida per chiunque. Secondo gli studiosi, è uno stato soggettivo di benessere, che scaturisce da elementi diversi per ogni individuo.
Wilhelm Schmid, professore di filosofia, specializzato nell’“arte del vivere”, descrive la felicità in modo semplice e concreto. “Ne esistono diversi gradi”, afferma, “un espresso doppio, ad esempio, significa per me un momento di felicità quotidiano, mentre un viaggio o un incontro con gli amici può rendermi allegro a medio termine. Nel lungo periodo, in un rapporto che dura da anni, non posso pretendere di essere contento 365 giorni l’anno.” La brama di una felicità permanente è semplicemente irrealistica e provoca l’effetto contrario.
Uno scopo quale fonte di felicità
Alcune ricerche scientifiche lo dimostrano chiaramente, una vita è felice quando si ha uno scopo: aiutare il prossimo, impegnarsi nel volontariato, sentirsi utile. “La felicità è la percezione di essere d’aiuto agli altri”, è la lezione appresa da Hector. Anche poter decidere autonomamente aiuta a essere felici, senza cedere alle costrizioni imposte dalla società e dai media, concentrandosi su sé stessi e compiendo azioni che ci appagano e che generano un equilibrio interiore.
Il denaro non è tutto, ma spesso vuol dire molto
Quanto denaro serve per essere felici? Poco importa, poiché non è sempre e solo questione di soldi. Anche a tal riguardo esistono ricerche scientifiche. Evidenza 1: il denaro rende molto felice chi ha esigue risorse e deve lottare per la propria sussistenza, perché elimina lo stress e l’ansia, risolvendo molti problemi quotidiani.
Evidenza 2: il denaro rende felici ma fino a un certo punto. Pare che esista una certa “soglia magica” fino alla quale un reddito più elevato può favorire questa sensazione, perché una volta raggiunta, la gioia di “avere di più” diminuisce di nuovo rapidamente. Questo si evince, in particolare, dagli studi condotti sui vincitori della lotteria, tutti concordi nell’affermare che, dopo due anni al massimo, erano felici o infelici come prima del colpo di fortuna.
È indiscutibile che le risorse finanziarie di base e un certo livello di prosperità materiale garantiscano un tenore di vita elevato. Disporre di denaro a sufficienza permette di avere maggiori opportunità di formazione e una migliore assistenza sanitaria; vuol dire essere liberi e indipendenti in una società individualista. Vivere bene significa anche essere sicuri di non perdere il controllo in caso di imprevisti o avversità, ma anche mantenere il proprio stile di vita in pensione. Per garantire tutto ciò, è necessaria una pianificazione finanziaria accurata e completa: che si tratti di accumulo di capitale, previdenza pensionistica o tutela dai rischi esistenziali, ognuno dovrebbe affrontare questi temi per tempo e responsabilmente. I consulenti Raiffeisen sono al vostro fianco per consigliarvi con professionalità.
Il cambiamento dei valori e il coronavirus
Uno stipendio elevato è sempre meno ambìto, in particolare per la generazione Y, che attribuisce maggior valore ad altre tematiche, come alla tutela di clima e ambiente. Nella vita lavorativa non si aspira più a una carriera da sogno, quanto piuttosto a una professione appagante. L’equilibrio tra sfera privata e lavoro soppianta il fenomeno dei workaholic e si predilige “il ritorno alla natura” rispetto all’acquisto di una nuova auto. Questo mutamento dei valori era nell’aria ancor prima della pandemia, che ha rafforzato la nuova visione di felicità e contentezza. Durante i lunghi mesi di isolamento, nell’incertezza del futuro, abbiamo capito cosa è veramente importante e non sempre scontato: salute, lavoro, relazioni interpersonali e solidarietà. Viene da chiedersi quanto a lungo durerà questa presa di coscienza o se torneremo presto agli standard pre COVID-19. Una vita felice si raggiunge a piccoli passi, come aveva scoperto Hector nel suo viaggio: “È un errore pensare che la felicità sia l’obiettivo”.
L’ARTE DI VIVERE – Uno scopo conta più della felicità
Wilhelm Schmid, filosofo indipendente a Berlino, ha insegnato filosofia in veste di professore aggregato all’Università di Erfurt fino al pensionamento; il suo ambito di specializzazione è l’arte di vivere. Il suo libro “Felicità” è diventato un bestseller (“Glück: Alles, was Sie darüber wissen müssen” – ed. Insel Verlag)
Professor Schmid, quando si può dire di avere una vita felice?
Wilhelm Schmid. Parlo mal volentieri di “vita felice”, perché può essere anche tutt’altro che tale, ad esempio per chi si ammala. Ciò che conta è il modo in cui si affrontano le situazioni difficili ed essere circondati da persone di cui potersi fidare. In linea di principio, la soddisfazione individuale non deriva dall’essere momentaneamente “felici”, ma piuttosto dal riconoscere le proprie possibilità reali e, di conseguenza, prendere decisioni ponderate in piena autonomia.
Quanto sono importanti denaro e sicurezza economica?
A livello teorico il denaro è superfluo, ma nella pratica è molto rilevante. Se una persona può permettersi di pagare le bollette, è senza dubbio un fatto positivo. Si dovrebbe quindi cercare un lavoro che dia soddisfazione e permetta di guadagnare abbastanza. In questo Paese, se si è in difficoltà finanziaria, si può contare sull’aiuto dello Stato.
Cosa ci ha insegnato il coronavirus?
Buona parte della nostra vita tornerà a essere come prima, ma la nostra percezione è cambiata. Ora abbiamo capito cosa conta davvero: salute, lavoro, contatti sociali, relazioni interpersonali e solidarietà. Siamo tornati ad apprezzare una cena al ristorante, i bambini hanno toccato con mano quanto sia bello andare a scuola e con il tempo sapremo quanto durerà questa presa di coscienza. La pandemia ha dimostrato anche che la digitalizzazione è importante, ma che non ci accontentiamo di vedere gli amici da uno schermo. La vita “analogica” ha acquisito molto più valore rispetto a prima.
Nella Sua professione, Lei si è occupato per anni dell’arte di vivere. Come riassumerebbe i Suoi studi?
Uno scopo conta più della felicità. Quest’ultima è volubile, viene e va, non possiamo determinarla. Uno scopo, invece, può guidarci nel tempo: avere un obiettivo per cui vivere, lavorare e provare gioia, ci tiene impegnati a lungo.