La forbice tra ricchi e poveri
L’Alto Adige è annoverato tra le regioni più ricche d’Europa, eppure il 16 percento delle famiglie vive in una condizione di povertà relativa. Com’è possibile che in una provincia così prospera regni ancora l’indigenza? Le ragioni sono molteplici, le soluzioni difficili.
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A prima vista, la povertà in Alto Adige, e più in generale in Europa, si distingue fortemente da quella delle regioni del mondo in cui le persone non dispongono di scuole, acqua potabile e ospedali, costrette a combattere contro malnutrizione ed epidemie. Eppure, anche da noi si registra l’indigenza. Non è povero solo chi è costretto a passare la notte sotto un ponte, a trascorrere le giornate sulle panchine del parco e condurre un’esistenza ai margini della società. La povertà sommersa colpisce molte più persone di quante ne possiamo immaginare: in base alle rilevazioni, il 16 percento delle famiglie vive in una situazione di povertà relativa. Si tratta di nuclei familiari il cui reddito rispetto alla media provinciale è inferiore al 60 percento, in totale circa 35.000 su tutto il territorio; senza i contributi di Stato e Provincia, come i sussidi casa, il reddito sociale e la pensione minima, assommerebbero addirittura al 25 percento.
Famiglie numerose, genitori single, pensionati
In particolare, sono colpite dalla povertà le famiglie numerose, quelle di lavoratori con un unico salario o con un reddito basso, i genitori single, i pensionati, gli immigrati e i disoccupati con un modesto livello educativo. In generale, le donne sono più soggette degli uomini e in molti casi si tratta di minori. Se la famiglia d’origine è povera e vengono a mancare opportunità di crescita e formazione, anche i figli continueranno a vivere in povertà per tutta la vita. Apparentemente, molte persone conducono un’esistenza “normale”, ma non riescono a soddisfare i propri bisogni essenziali: nel concreto, la povertà si manifesta in una cronica mancanza di possibilità e di qualità della vita. Chi è colpito dall’indigenza, deve compiere importanti rinunce in molti ambiti della vita quotidiana, come la casa, la formazione, la salute e il tempo libero. Accanto alle preoccupazioni finanziarie, si aggiunge spesso una pressione psicologica dovuta a emarginazione, isolamento, pregiudizi e vergogna. Le cause sono molteplici: un reddito insufficiente, il costo della vita eccessivo, rapporti familiari e sociali precari, una separazione o un divorzio, la perdita del posto di lavoro, una malattia e altre disgrazie.
Distribuzione iniqua della ricchezza
“Non tutti hanno tratto profitto dal favorevole andamento economico dell’ultimo decennio, al contrario”, ci rivela Stefan Perini, direttore dell’Istituto Promozione Lavoratori (IPL). Nonostante un calo dei senza lavoro e un aumento dell’occupazione, negli ultimi anni la povertà è aumentata. Tra le cause è da annoverare sicuramente uno sviluppo stentato dei salari che, tra il 2010 e il 2017, nel settore privato hanno subito una contrazione del 2 percento in termini reali. Ma vi hanno contribuito anche i contratti a tempo determinato, gli affitti e il costo della vita elevati, soprattutto nei grandi centri urbani, così come il divario sempre più ampio tra redditi alti e bassi. “La povertà in Alto Adige”, prosegue Perini, “si manifesta come un fenomeno a sé: benessere e ricchezza sono in crescita, ma al contempo aumenta la disuguaglianza e fette sempre più ampie della popolazione vivono in condizioni di instabilità e incertezza, con un conseguente calo dell’equità sociale”. Il reddito da lavoro dipendente è distribuito in maniera ingiusta: in base alle statistiche diffuse dall’IPL, nel 2017, 13.483 altoatesini dichiaravano oltre 75.000 euro lordi l’anno, a fronte di 113.416 loro concittadini che percepivano un reddito inferiore a 10.000 euro. Ciò comporta un continuo assottigliamento del cosiddetto “ceto medio”, garante di benessere, crescita e stabilità.
Il lavoro non fa la ricchezza
Susanne Elsen, docente di sociologia alla Facoltà di Scienze della formazione presso la Libera Università di Bolzano ed esperta di economia solidale, afferma: “I veri ricchi non lo sono a causa del loro reddito, bensì del patrimonio accumulato nel corso di generazioni o formato in tempi molto rapidi, non sempre in modo lecito.” La tassazione dovrebbe pertanto essere dirottata dai redditi verso i patrimoni, affinché il lavoro possa tornare a essere “conveniente”, ma anche un reddito minimo incondizionato potrebbe consentire modelli di vita diversi. Nel frattempo, Elsen registra, in particolare tra le nuove generazioni, un nuovo approccio. “Spesso, tra i giovani”, prosegue, “la necessità di soddisfare i bisogni materiali non è più al primo posto: qualcuno decide consapevolmente di non comprare l’auto, anche se potrebbe permetterselo. Si punta ad avere abbastanza, anziché tanto.”
Come uscirne
La povertà ha molte sfaccettature e dimensioni: per questo, è necessario agire su più fronti. La politica è chiamata a compensare l’ingiusta distribuzione dei redditi attraverso sussidi e agevolazioni fiscali, oltre che a sostenere in maniera mirata la previdenza per la vecchiaia. Tuttavia, i punti focali per la lotta alla povertà sono formazione ed equità salariale. “La retribuzione deve ispirarsi a criteri di giustizia ed essere in linea con il costo della vita”, aggiunge Perini (cfr. intervista).
È quindi necessario un sistema educativo che offra ai giovani valide opportunità di sviluppo, ma anche investimenti in infrastrutture e servizi sociali di buona qualità, economicamente sostenibili e accessibili a tutti. Last but not least, in una società civile solidaristica, ogni cittadino è chiamato a fare la sua parte, aiutando i soggetti più deboli. A questo proposito, l’Alto Adige non è secondo a nessuno: complessivamente, ben 168.000 cittadini, quindi quasi uno su tre, sono attivi in una delle 5.340 organizzazioni no profit. Questo impegno volontario è preziosissimo: eppure, anche se in molti casi aiuta a mitigare la povertà, non ne elimina le cause.
POVERTÀ IN ALTO ADIGE – “I salari sono troppo bassi”
Stefan Perini esprime preoccupazione per i lavoratori altoatesini che, nonostante la piena occupazione, spesso non riescono ad arrivare a fine mese. L’economista Stefan Perini è direttore dell’Istituto Promozione Lavoratori (IPL).
Sig. Perini, cosa significa povertà?
Stefan Perini. Esistono diverse definizioni di povertà: quello d’uso più comune riguarda il reddito, ma esistono anche situazioni di “povertà educativa”, quando i minori vengono trascurati, e “sociale”, in cui mancano le relazioni interpersonali.
Quanto è impellente questo problema in Alto Adige?
Pur non essendo un fenomeno così frequente, si manifesta anche nella nostra ricca provincia.
Perché, nonostante la piena occupazione, registriamo una povertà crescente?
In Alto Adige, per molti profili professionali, i salari sono così
bassi che, a causa dell’elevato costo della vita, è difficile arrivare afine mese anche con un lavoro a tempo pieno. Il 30-40 percento dei lavoratori altoatesini intervistati da IPL denuncia difficoltà a “sbarcare il lunario” con il proprio stipendio.
Ritiene che il mondo dell’economia debba pagare meglio?
C’è sicuramente spazio di crescita: i lavoratori altoatesini,
nel migliore dei casi, sono stati appena sfiorati dalla ripresa
economica dell’ultimo decennio.
Com’è possibile contrastare povertà e diseguaglianza sociale?
È necessario limitare le forme di lavoro atipiche attraverso un trattamento differenziato del sostegno economico, introducendo un “salario minimo altoatesino” negoziato tra le parti sociali. Naturalmente, anche l’evasione fiscale dev’essere combattuta. Abbiamo bisogno di un modello locale di copertura sociale, maggiori investimenti nella formazione, anche extrascolastica, e in servizi di assistenza e cura. In altre parole, è necessario avviare un cambiamento di paradigma, passando dai “contributi a pioggia” ai “servizi di base per tutti”. Quando si tratta di risorse economiche, spesso non si sa se arrivano davvero a destinazione.