Il buon vecchio denaro
Il denaro è un elemento importante della nostra vita, con cui abbiamo a che fare quotidianamente. Ci dà libertà e crea opportunità, ma può anche vincolarci e renderci schiavi. Quali sono gli elementi decisivi del nostro rapporto con il denaro? E quali gli aspetti psico-sociali da considerare?
Elisa Prast di Auna di Sotto è andata fino in Africa per scoprire cosa significa vivere con pochi soldi. Dopo il diploma all’Istituto tecnico commerciale, ha lavorato per cinque anni presso la stazione radiofonica RMI, ma il suo sogno è sempre rimasto il Continente nero, affascinata dal suo territorio ma soprattutto dalla sua gente. Inizialmente ha vissuto nello Zambia, dove ha lavorato per tre mesi in una scuola per orfani. Qui ha imparato com’è possibile essere felici anche senza denaro, osservando i ragazzi costruire braccialetti di carta e giocare con macchinine realizzate con fil di ferro. “Ero lì per dare una mano, ma alla fine ho imparato molto”, ci ha riferito.
Tipologie finanziarie
Nel 2005, gli scienziati Tang e Luna-Arocas hanno individuato, attraverso lo studio “Love of Money Scale”, quattro tipologie di atteggiamenti nei confronti del denaro. Elisa rientra sicuramente nella seconda, essendone assolutamente indifferente. Le persone appartenenti a questa “categoria” desiderano avere un reddito ragionevole e vivere una vita piacevole, ma per loro il denaro non è sinonimo di successo, tanto meno uno status symbol. Secondo Erich Kirchler, psicologo dell’economia originario della Valle Aurina e docente all’Università di Vienna (vedi l’intervista), circa un terzo delle persone rientra in questo gruppo. Anche se esprime scetticismo nei confronti delle classificazioni, a suo avviso queste quattro tipologie sono “calzanti”.
Accanto agli “indifferenti”, c’è chi esprime un atteggiamento negativo nei confronti del denaro: dalla sua professione non trae alcun beneficio in termini di autostima, manifestando scarsa esigenza di sicurezza e autorealizzazione. Questo gruppo comprende circa il 16 percento della popolazione. Al contrario, la terza categoria, che racchiude circa il 30 percento delle persone, ammira il denaro, lo gestisce in maniera disinvolta e punta a guadagnare di più. Infine, gli appartenenti all’ultimo gruppo (da un quinto a un quarto della popolazione) ne danno una connotazione molto positiva: sono parsimoniosi e aspirano a forti guadagni, poiché per loro autostima e autorealizzazione sono indissolubilmente legate al benessere materiale. Anche Josef Prantl di Lagundo rientra nel secondo gruppo.
Insegnante di tedesco e storia, oltre che vicedirettore del Liceo scientifico e dell’Istituto tecnologico di Merano, ci rivela che il denaro, per lui, non è la cosa più importante. “Faccio un lavoro che mi piace”, prosegue, “anche se non è quello che mi fa guadagnare di più. Ho studiato germanistica, ma mio padre avrebbe preferito che scegliessi giurisprudenza”. I soldi sono un mezzo di scambio con cui è possibile realizzare molti sogni: cultura, viaggi, abitazione. “Di per sé, non è il denaro a rendere felici”, conclude, “ma ciò che se ne fa”. Quando può, Prantl accantona un po’ di risparmi per le eventualità future.
L’esempio dei genitori
Qualunque sia l’atteggiamento di ciascuno di noi, è un dato di fatto che il denaro è molto più di un mezzo per soddisfare i bisogni materiali e riveste un significato psico-sociale: è sinonimo di successo, sicurezza, riconoscimento, potere e qualità della vita; condiziona il giudizio degli altri e spesso anche la nostra autostima. Attraverso la gestione finanziaria, si esprime anche la nostra personalità: lo spettro spazia dallo scialaquatore abituale, che vuole così dimostrare di appartenere a un ceto elevato, fino a chi accumula per avidità. I sentimenti che il denaro riesce a smuovere dipendono dall’esperienza personale. “Le basi del nostro comportamento vengono gettate durante l’infanzia”, ci rivela Kirchler. “I bambini apprendono molto presto che, in cambio dei soldi, possono ottenere
qualcosa: alcuni imparano ad attendere la giusta ricompensa, cioè a risparmiare e acquistare in un secondo momento, altri no”. Al suo ritorno dall’Africa, Elisa Prast ha cominciato a vivere all’insegna dell’economia, imparando ad apprezzare alcune piccole cose quotidiane, come la lavatrice o il frigorifero. La gestione finanziaria l’ha appresa dalla famiglia, certamente non ricca, ma che non le ha mai fatto mancare nulla. “Eravamo quattro fratelli”, racconta, “ma andavamo a sciare e al mare, e i nostri genitori sono riusciti a comprarsi la casa”. Per lei è importante godersi la vita, ma al contempo vuole mettere da parte qualcosa per il futuro. Anche Josef Prantl è una persona parsimoniosa, pur essendo cresciuto senza preoccupazioni: i suoi genitori hanno dovuto fare molti sacrifici per consentire ai quattro figli di studiare.
È il rapporto a fare la differenza
Rimane la questione della felicità che può procurare il denaro. Il ricercatore Christopher Boyece e il suo team della University of Warwick hanno condotto un’indagine, che ha coinvolto 12.000 persone, per capire se esiste un nesso tra stipendio e soddisfazione.
Il risultato è sorprendente: non è tanto il livello di ricchezza assoluto a determinare la felicità, bensì quello in rapporto agli altri. In altre parole, siamo felici solo quando guadagniamo più dei nostri colleghi o vicini di casa.
“Dobbiamo investire nella formazione economico-finanziaria”
Il prof. Erich Kirchler è vice-decano della facoltà di psicologia all’Università di Vienna e membro suppletivo del consiglio dell’Istituto di psicologia applicata; la sua ricerca si concentra sulla psicologia del lavoro e organizzativa, del mercato ed economica, nonché su quella sociale.
Professor Kirchler, il denaro rende felici?
Erich Kirchler. Non sempre. Fino a un determinato grado di benessere, la soddisfazione è in aumento, poi il nesso s’indebolisce. Negli ultimi cent’anni, il livello di prosperità degli americani è cresciuto in misura esponenziale, al contrario della loro felicità. Nel cosiddetto “primo mondo”, la soddisfazione interiore non dipende tanto dal benessere assoluto, bensì da quello relativo.
Quindi tutto si riduce nell’avere più del proprio vicino.
Erich Kirchler. Se non di più, perlomeno altrettanto. Il denaro può anche diventare fine a se stesso: da un certo livello di benessere, non è più la quantità di soldi a determinare la felicità, bensì la ripartizione più o meno equa della ricchezza in un Paese.
Non ho idea di quanto guadagni il mio collega. Perché per molti questo è un tabù?
Erich Kirchler. Da noi si tende a non parlare di reddito, mentre in America rappresenta un segno di potenza e il denaro è spesso al centro delle conversazioni: se l’impostazione cattolica fa sembrare sconveniente ostentare la propria ricchezza, non è così nel mondo protestante.
Perché la gestione dei soldi è così complessa?
Erich Kirchler. Il denaro non è qualcosa di scontato: per questo, bisogna apprenderne la gestione. Le banconote, di per sé, non hanno alcun valore: determinante è il fatto che posso impiegarle per ottenere in cambio dei beni e che il loro valore si mantiene inalterato nel tempo.
Che cosa caratterizza un “buon rapporto” nei confronti del denaro?
Erich Kirchler. È essenziale dare a questo tema la giusta attenzione, sviluppando una consapevolezza adeguata. Il denaro non deve diventare il punto fermo nella nostra esistenza. D’altro canto, poiché ci garantisce la sussistenza, richiede una giusta considerazione. Per questo, ritengo sia molto importante investire precocemente, sin dai tempi della scuola, nella formazione economico-finanziaria.